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Il Fascino della Carta
Amo l’odore della carta e l’odore delle cartolerie di una volta, perché mi ricordano il mio primo giorno di scuola, l’appello in ordine alfabetico, l’attesa per sentire pronunciare il mio cognome, la C dopo la B e la mia voce che si incaglia sulle sillabe di: presente.
Ricordo ancora la rigidità della cartella in similpelle rossa che mi segnava il palmo della mano, l’astuccio con tre penne a sfera, una matita e una gomma bianca, i quaderni ancora intonsi: uno a quadretti e l’altro a righe.
Cominciò forse da quel giorno di settembre di molti anni fa la mia fascinazione per la carta, i quaderni e i libri.
Seduto al banco che mi era stato assegnato, sfioravo la prima pagina del quaderno a righe, inebriato dall’odore della cellulosa, impugnando incerto la penna a sfera blu, una lettera di seguito all’altra, fino a formare la parola fiore, la prima che imparai a scrivere dopo il mio nome.
E quella sensazione di nuovo inizio che si rinnova ogni volta che apro un quaderno l’ho ritrovata e la ritrovo, negli anni, sfogliando anche taccuini di viaggio e le pagine dei libri.
Quelle ruvide e vanigliate di Sandokan, quelle illustrate di Oliver Twist, quelle dei romanzi classici ereditati dallo zio di Livorno con le pagine ingiallite e impregnate dall’odore del tabacco, nei sillabari scolastici e nelle mappe degli atlanti sulle quali seguirò, con l’indice della mano destra, il corso tortuoso dei fiumi fino alla loro foce.
Da quel giorno, ricerco l’odore di carta e inchiostro dei libri in ogni scuola frequentata, nelle piccole librerie, nei paesi e nelle città dove ho vissuto, nei romanzi consigliati dai librai, nei fumetti de L’incredibile Devil, nei libri illustrati e nelle plaquette di poesia stampate in poche copie.
Così mi imbatterò nei libri d’artista e in quelli fotografici della Magnum e nei cataloghi delle mostre: carta lucida e riproduzioni scolorite o troppo sgargianti.
Ricadrò, di notte, nelle pagine dei romanzi spesso indimenticabili con una predilezione per gli scrittori francesi e anglosassoni.
Conoscerò le carte pregiate usate nell’arte, la washi prodotta a mano con la corteccia interna del gelso e la carta baritata scelta dai fotografi, la carta in cotone con grammatura superiore ai 200 grammi ideale per le incisioni.
Scoprirò in una mostra a Milano, i dipinti di Safec Zec e le sue meravigliose incisioni dedicate agli alberi, testimoni della mia infanzia – sono nato vicino a un bosco – e cercherò, con caparbietà e incoscienza, di imparare a disegnare come lui senza mai riuscirci.
Scriverò brevi frasi scarne, sulle pagine di un taccuino di viaggio tratteggiando piccoli disegni incerti: il profilo appena accennato di un promontorio, l’impronta di una foglia di ginkgo, l’insegna di un distributore di benzina vista dalla finestra di un motel.
Safet Zec è nato in Bosnia nel 1943, ultimo di otto figli di un calzolaio che, durante la seconda guerra mondiale, si trasferisce a Sarajevo da Rogatica, un paese a est della Bosnia. Il suo straordinario talento si manifesta sin dall’infanzia; si forma alla Scuola superiore di arti applicate di Sarajevo e all’Accademia di Belgrado, è considerato quasi un prodigio. Tuttavia l’isolamento interiore di quegli anni lo porta a distruggere quasi tutti i suoi primi lavori. A Belgrado incontra la moglie artista Ivana, restaura una vecchia casa nel quartiere ottomano dell’antica città di Pocitelj, vicino a Mostar, luogo amato da molti artisti, che mantiene anche quando, nel 1987, torna a vivere a Sarajevo, da pittore ormai affermato anche a livello internazionale. Con lo scoppio della guerra, il mondo in cui Zec è cresciuto, di armoniosa convivenza tra persone di diverse culture e religioni, è sconvolto. Pocitelj viene distrutta e, con essa, tutte le sue opere incisorie. Morte e distruzione a Sarajevo lo costringono a fuggire con la famiglia. Nel 1992 è a Udine dove ricomincia a lavorare grazie all’aiuto generoso dello stampatore Corrado Albicocco, per poi giungere a Venezia nel 1998. Dalla fine del conflitto, l’artista ha ripreso un’assidua frequentazione con la sua terra. Nel cuore di Sarajevo, lo Studio-collezione Zec è stato riaperto ed è ora un centro di iniziative culturali, oltre che sede espositiva delle sue opere. Nel 2004, in occasione dell’apertura del nuovo ponte di Mostar, è stato presentato un libro di incisioni curato dalla Scuola di Urbino su lastre di Zec. In futuro, la sua casa-studio di Pocitelj, ora restaurata, ospiterà una scuola di grafica.