by Published On: Ottobre 12, 2023

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La superficie gelida del mare

A volte mi chiedo cosa resta dei libri che vengono stampati, dei libri che rimangono invenduti sugli scaffali delle librerie quando, a fine giornata, si spengono le luci. Cosa resta di tutti quei volumi che sono destinati all’oblio dopo una fugace apparizione sul palcoscenico del mondo? Cosa resta di quei romanzi mai letti che per pochi giorni occupano i banchi di una fiera? Del tempo trascorso per scriverli, di tutte le nottate insonni passate a cesellare l’incipit, di tutta la fatica e la speranza che riponiamo nella loro riuscita?

Cosa resta delle settimane e delle stagioni che trascorrono alla ricerca disperata di una casa editrice che almeno risponda o di un agente letterario che creda nel nostro progetto? Della scelta coraggiosa, liberatoria e forse disperata, che alcuni fanno, di stamparsi il libro a proprie spese e di accompagnarlo con l’aiuto di un famigliare o di un amico alle fiere sparse in tutta Italia, organizzando presentazioni che potrebbero rivelarsi fallimentari.

Kafka aveva scritto che:

 “un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di noi”.

E allora spero di poter trovare, in ognuno di questi libri, in questa miriade di storie che saranno destinate al macero o resteranno recluse nell’ angolo più scuro di qualche soffitta, una pagina ben scritta.

Fare libri forse ha a che fare con questa prerogativa: raccontare bene una storia emozionante. Scegliere parole che riescano a toccare la sensibilità del lettore, cercando, anche solo per un breve istante, di scalfire il suo mare gelido. Scrivere con stile e precisione, confezionare il libro utilizzando la carta più adatta, rilegare le pagine con cura artigianale. Come nel libro: Lo stretto sentiero del profondo nord scritto da Matsuo Basho* dove ogni parola scritta è stata scelta con cura, dove ogni frase pur nella sua brevità evoca bellezza e rigore, in una costruzione che potremmo definire come un portolano, un promemoria, un romanzo di formazione, un taccuino di appunti, magari in forma i disegni, una raccolta di incontri con volti e persone, un reportage, la cronaca di una fuga.

Se solo una piccola emozione trapelasse dalle pagine dei nostri libri, come capita leggendo questo libro, la loro ideazione e la loro pubblicazione non sarebbero stati sforzi vani. Se un mio breve racconto, una poesia o un haiku riuscissero a graffiare la superficie gelata del mare di un lettore, allora potrei gioire, come fece molte volte il maestro durante le sue peregrinazioni, quando udì nella foresta di Arashiyama il suono dei bambù che si urtavano scossi dal vento d’autunno.

 

Matsuo Basho* (松尾 芭蕉?; Ueno, 1644 – Osaka, 1694) è stato un poeta giapponese del periodo Edo Nome originale Matsuo Munefusa, probabilmente il massimo maestro giapponese della poesia haiku. Nato nella classe militare e in seguito ordinato monaco in un monastero zen, divenne poeta famoso con una propria scuola e allievi, col passare del tempo, sempre più numerosi. Viaggiatore instancabile, descrive spesso nella sua opera l’esperienza del viaggio. La sua estetica fa coincidere i dettami dello zen con una sensibilità nuova che caratterizza la società in evoluzione: dalla ricerca del vuoto, la semplicità scarna, la rappresentazione della natura, fino a essenziali ma vividi ritratti della vita quotidiana e popolare.