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Milano d’autunno
Milano d’autunno svela i toni spenti dei caseggiati, le pubblicità appese agli ultimi piani dei palazzi dove angeli sognanti e annoiati osservano le nostre traiettorie quotidiane, gli incontri mancati, i parchi con le foglie appena ingiallite degli alberi, le giostre ferme, i cieli spenti, la leggera pioggerellina che bagna l’asfalto. Sfuggiamo alla gigantesca presenza e alla bellezza irreale di quei giovani dei vestiti all’ultima moda abbassando lo sguardo sulle prime foglie che rotolano ai bordi delle strade.
Per fortuna a Milano, in giornate uggiose come queste, ci sono i musei, le gallerie d’arte che si aprono su giardini incastonati tra le case, le piccole librerie di quartiere, i caffè pasticceria con minuscoli tavoli rotondi. Per fortuna c’è, in un museo tra i tanti, un quadro fra tanti che rapirà il nostro cuore. Per fortuna c’è l’aroma del caffè e l’odore dei giornali. Per fortuna, nelle piccole librerie, tra le centinaia di libri che riempiono gli scaffali si trovano bellissimi libri come quelli illustrati da Paolo Ventura (https://www.paoloventura.com/).
Fotografo di moda prima e poi narratore onirico di un mondo ormai scomparso, inventore di storie fantastiche capace di ricreare nel suo studio ambientazioni fatte di sfondi dipinti e piccoli mondi sospesi.
C’è il suo sguardo malinconico sui panorami cittadini, sui quei personaggi presi in prestito dal secolo scorso immersi nella loro solitudine. Acrobati dei primi del novecento che si esercitano in una piazza deserta, soldati prussiani lontani dal fronte, piccoli bambini dagli occhi innocenti che guardano il cielo azzurro. Potremmo essere noi quelli piccoli uomini ai margini dei palazzi dipinti sotto quei cieli tappezzati di luce grigia, noi quelle sagome scure abitate dalla solitudine.
Noi che con i nostri passi spediti attraversiamo le vie del centro nel tentativo di evitare le comitive di turisti che assiedano piazza Duomo, disperdendoci più a sud, verso le acque lente dei navigli e i quartieri di periferia.
Per quel virtuoso gioco di corrispondenze e di specchiamenti che accade quando sfogliamo un libro, i colori e i collage di Paolo Ventura evocano pagine di altri libri meravigliosi: L’ Adalgisa di Gadda, Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Passaggio a Nord-Ovest di Gianni Biondillo, i tanti libri postumi di Alda Merini e questa poesia di Alfonso Gatto*.
Vedete là nel cielo, in quel piccolo sole
d’inverno tra le nebbie, un ricordo del sole?
Come la luna guarda e si lascia guardare.
Milano a mezzogiorno è già crepuscolare.
E gli alberi anneriti in quel freddo d’argento
hanno rami gentili, a tratti passa il vento,
un vento senza voce, a poco a poco imbruna.
Solo il piccolo sole come una grande luna.
Così il Duomo fiorito di grigio e di lichene
appare nelle nebbie delle notti serene.
Alfonso Gatto (27 luglio 1909 – 8 marzo 1976) è stato un poeta, pittore, critico d’arte e giornalista. Nacque a Salerno in una famiglia di marinari e piccoli armatori. L’infanzia e l’adolescenza sono piuttosto turbolente a causa delle difficoltà economiche che lo costringono ad abbandonare gli studi prima di laurearsi, finché, a soli ventun anni, fugge a Milano.
Si lega soprattutto all’esperienza dell’ermetismo, segnando il rinnovamento della poesia italiana. Tra i suoi volumi di poesia si ricordano Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Il capo sulla neve (1949), La forza degli occhi (1954), Osteria flegrea (1962), e Rime di viaggio per la terra dipinta (1969).
Alfonso Gatto muore in un incidente d’auto a Orbetello (Grosseto), ed è sepolto nel cimitero di Salerno. Sulla sua tomba è inciso un commiato scritto da Eugenio Montale.